Una vittoria tra realtà e retorica


Per i trentini la Prima guerra mondiale è iniziata nel 1914. Furono inviati sui fronti galiziani e russi. Lì dovettero subire maltrattamenti da parte degli ufficiali, quasi tutti di lingua tedesca oppure ungherese, che non si fidavano della truppa di lingua italiana sospettandola costantemente di tradimento e diserzione. Quella storia, dimenticata per molti anni, è stata ricordata durante l'incontro, organizzato lo scorso 27 marzo dalla Fondazione "Corriere della sera", dal titolo: “Trento, 4 novembre 1918: la guerra è finita? La vittoria tra retorica e realtà, la lunga strada della pacificazione”. Tra il numeroso pubblico, era presente lo studente Ludovico Albertini della IV BG, che ha conosciuto le sofferenze patite dal Trentino - Alto Adige nel corso di quei cinque anni agli inizi del secolo scorso grazie agli interventi del giornalista Paolo Mieli, del Presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi e degli storici Marco Bellabarba, docente presso l’Università di Trento, Simona Colarizi della “Sapienza” di Roma, Hannes Obermair dell’Università di Innsbruck e Giovanni Bernardini dell’Università di Venezia

 

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La strada per la pacificazione

Tutti noi abbiamo sicuramente un’identità, ma la sentiamo veramente nostra? Pensiamo, ad esempio, ai figli d’immigrati nati e cresciuti in un Paese diverso da quello dei loro genitori. Devono convivere tra i costumi della loro famiglia e quelli della società in cui sono. Spesso, però, si ritrovano con crisi d’identità, la stessa che ebbero i soldati trentini allo scoppio della Prima guerra mondiale. Per loro la guerra era iniziata nel 1914 con sofferenze doppie: furono inviati per lo più sui fronti galiziani e russi e subirono maltrattamenti da parte degli ufficiali, quasi tutti di lingua tedesca o ungherese, che non si fidavano della truppa di lingua italiana, sospettandola continuamente di tradimento e diserzione.

Quella storia, dimenticata per molti anni, è stata ricordata dal professor Marco Bellabarba, docente di storia moderna all’Università di Trento, nel corso del convegno tenutosi lo scorso 27 marzo nella “Sala Buzzati” della “Fondazione Corriere della Sera”, che ha radunato, oltre al Presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi un gruppo di storici tra cui Simona Colarizi della “Sapienza” di Roma, Hannes Obermair dell’Università di Innsbruck, Giovanni Bernardini dell’Università di Venezia e il giornalista Paolo Mieli. Tema della discussione, a cent’anni dalla fine del primo grande conflitto mondiale, era: “Trento, 4 novembre 1918: la guerra è finita? La vittoria tra retorica e realtà, la lunga strada della pacificazione”.

I trentini partirono in sessantamila, per combattere con la patria austriaca, ma ventitremila non tornarono indietro. Non andò meglio neanche alla popolazione civile che, quando nel 1915 l’Italia entrò in guerra con la Triplice Intesa, fu deportata in massa nelle regioni della Boemia, della Moravia e della Bassa Austria. Vennero sistemati dentro baracche con poco cibo, scarsa igiene e molto freddo, tanto che i morti non si contavano. Di quei giorni rimangono le testimonianze tratte da lettere e diari che l’attore Mario Perrotta ha letto all’inizio dell’incontro.

Lo spostamento del confine al Brennero, con il Trattato di pace di Saint-Germain-en-Laye (1919), portò nuovi dolori e malcontento. Le conseguenze durarono fino agli anni Novanta del ‘900, perché fece perdere ai tirolesi del sud la patria, una catastrofe per loro che erano stati sudditi fedeli della monarchia austroungarica. A peggiorare la situazione ci fu la vicenda delle opzioni che portò divisioni tra famiglie e famiglie, tra vicini di casa, tra genitori e figli: rinunciare a lingua, tradizioni, feste e costumi oppure trasferirsi in Germania.

Paolo Mieli ha ricordato che come nazione siamo nati nel 1861. Nel 1882 l’Italia è entrata a far parte della Triplice Alleanza: «da allora il modo di rapportarsi culturalmente e politicamente con i temi di quella zona che è oggi il Trentino Alto Adige sono rimasti identici. Speriamo che tra cinquant’anni si possano riconoscere i torti che un secolo fa sono stati inflitti ai sudtirolesi». Il Presidente della provincia di Trento, Ugo Rossi quanto alla questione “Sono italiano o austriaco?” è stato molto chiaro: «Preferisco pensare che sono un cittadino che vive sulle Alpi e che vuole guardare al futuro». Parole belle e giuste: bisogna sì guardare al passato per evitare che certi errori si rifacciano, ma guardare all’avvenire dà speranza di vita, perché vivere è un dono unico al mondo.

 

Ludovico Albertini

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