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Presentazione libro di Giovanni Floris


Crescere con la scuola
Sulla questione gioca in casa. Sua madre insegnava. «Qualcuno mi chiama ancora il figlio della professoressa Floris». “Ultimo banco. Perché insegnanti e studenti possono salvare l’Italia” (Solferino, 2018) è l’ultima fatica di Giovanni Floris, presentata lo scorso 18 maggio nella “Sala Buzzati” della “Fondazione Corriere della Sera” dai giornalisti Milena Gabanelli e Venanzio Postiglione. Tra il numeroso pubblico c’era anche lo studente Ludovico Albertini della IV BG, che ha avuto modo di scoprire, insieme all’autore del saggio, il filo che lega crisi ed eccellenze dell’istruzione, fino alla sfida più importante: ricostruire la scuola per ricostruire l’Italia.

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I banchi davanti ai fatti
La amiamo. La odiamo. La consideriamo un mondo a parte con voti, interrogazioni, pagelle. È la scuola italiana, che celebriamo e vituperiamo a giorni alterni, sempre da cambiare e sempre incambiabile, un palco con comparse, attori e un’unica certezza: le colpe dello sfascio sono sempre di qualcun altro. Si critica il ministro, i genitori, i professori, gli studenti, l’ignoranza. Prorio da lì, citando Cesare Pavese «l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa», è partito Giovanni Floris per scrivere il libro “Ultimo banco. Perché insegnanti e studenti possono salvare l’Italia” (Solferino, 2018).

Per salvarsi bisogna ri-cominciare dalla passione, dallo studio, convinti che la scuola «sia l’istituzione più importante di una nazione, perché fornisce ai cittadini gli strumenti per risolvere i problemi della vita quotidiana come quelli della collettività». La pensano allo stesso modo i giornalisti Milena Gabanelli e Venanzio Postiglione, che hanno presentato il libro con l’autore lo scorso 18 maggio nella “Sala Buzzati” della “Fondazione Corriere della Sera”.

In cima ai problemi da risolvere c’è la condizione dei docenti: «ciascuno di noi ha il dovere di rimediare. Se ogni ricostruzione comincia da un necessario primo passo, in questo momento il passo deve essere fatto in favore degli insegnanti». Urbano Cairo, imprenditore e presidente di “RCS MediaGroup” concorda con Floris: «Hai ragione quando dici che dovremmo aumentare lo stipendio ai professori! In una società nella quale viene dato peso e importanza a chi guadagna molto, può essere un incentivo agli occhi dei ragazzi, qualcosa che realizza».

Certo, ci sono professori “bravi” e “non bravi”, quelli che vogliono lavorare e coloro che aspettano solo lo stipendio, perché «se vuoi far niente è possibile. Tu correggi i compiti in classe, invece che correggerli a casa e, quindi, non spieghi. Segui per inerzia il programma ministeriale e non te lo prepari. Di conseguenza - continua Milena Gabanelli, moglie di un insegnante di musica - tutto procede per inerzia e sei arrivato alla fine».

Sull’alternanza scuola-lavoro il conduttore di “diMartedì” ha una sua idea: «Attraverso il lavoro devo conoscere la realtà delle relazioni interpersonali, la realtà di mettere un obiettivo in fondo al mio lavoro. Credo che voler collegare a tutti i costi la scuola al mercato del lavoro sia una strada sbagliata: può essere un percorso aggiuntivo, ma non si può ridurre a un ufficio di collocamento. Nessuna, nemmeno quella tecnica, deve servire solo a orientarti verso una professionalità. Non mi puoi condannare a quel lavoro per sempre, perché gli imprenditori della zona cercano solo alcune figure professionali».

Basta anche alla scuola supermercato, dove si prende ciò che ci piace: molti genitori sanno bene quali siano i professori o le sezioni migliori e vogliono mandare lì i propri figli, altri, però, «scelgono quelli più “buoni”, perché così non si rischia la bocciatura».

Adesso, quindi, occorre una rivoluzione tra i banchi, per unire chi ha ancora poca capacità di “problem solving collaborativo”, secondo i dati Ocse-Pisa, e gli insegnanti: «I professori - conclude Floris - devono ritrovare l’orgoglio del loro ruolo e mantenere la qualità del loro lavoro. Gli studenti tornino a capire che il valore della scuola è il qui e ora».

 di Ludovico Albertini

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